Sentenza 195/2010 Giudizio Presidente AMIRANTE - Redattore CASSESE Udienza Pubblica del 11/05/2010 Decisione del 26/05/2010 Deposito del 04/06/2010 Pubblicazione in G. U. Norme impugnate: Legge della Regione Lazio 16/04/2009, n. 14. Massime: Titoli: Atti decisi: ric. 44/2009 SENTENZA N. 195 ANNO 2010 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: Francesco AMIRANTE; Giudici : Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia di personale), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22 giugno 2009, depositato in cancelleria il 30 giugno 2009 ed iscritto al n. 44 del registro ricorsi 2009. Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio; udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese; uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Massimo Luciani per la Regione Lazio. Ritenuto in fatto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, la legge della Regione Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia di personale), il cui art. 1, in particolare, dispone quanto segue: «1. In considerazione del processo di riorganizzazione delle strutture regionali, al fine di favorire la razionalizzazione degli organici, assicurare il buon andamento dell’amministrazione evitando interruzioni e disfunzioni nell’attività gestionale, è fatta salva la qualifica o categoria già attribuita al personale alla data di entrata in vigore della presente legge per effetto dell’applicazione dell’articolo 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio 1996, n. 25 (Norme sulla dirigenza e sull’organizzazione regionale) e successive modifiche, purché lo stesso abbia svolto le funzioni o mansioni corrispondenti alla predetta qualifica o categoria, conferite con atto formale ed effettivamente esercitate per almeno un triennio. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano al personale dei ruoli regionali in servizio alla data di entrata in vigore della presente legge. 3. È fatta salva la posizione economica acquisita dal personale, anche in stato di quiescenza, a seguito dell’espletamento delle funzioni o mansioni, correlate alla qualifica o categoria già rivestita, purché formalmente attribuite». Il Presidente del Consiglio dei ministri premette che scopo della legge censurata è il mantenimento degli obiettivi perequativi fissati dall’art. 22 della legge della Regione Lazio 1° luglio 1996, n. 25 (Norme sulla dirigenza e sull’organizzazione regionale), con la quale, ai fini della soluzione delle «sperequazioni determinatesi in sfavore del personale regionale non inquadrato ai sensi delle leggi fino ad allora intervenute in materia e richiamate dalla stessa norma», si rinviava ad un «successivo provvedimento legislativo». Il ricorrente inoltre riferisce che è successivamente stato approvato il regolamento della Giunta regionale 10 maggio 2001, n. 2 (Regolamento di attuazione dell’art. 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio 1996, n. 25), che ha disciplinato puntualmente il procedimento relativo al nuovo inquadramento del personale interessato alla c.d. perequazione, la cui conclusione ha condotto all’attribuzione di nuove qualifiche, dirigenziali e non dirigenziali, a circa 480 dipendenti regionali, risultati in possesso dei requisiti richiesti. Tale regolamento, tuttavia, è stato dichiarato illegittimo dal Tar Lazio, con sentenza depositata in data 11 aprile 2008, n. 3108, i cui effetti esecutivi sono stati confermati, in sede cautelare, dal Consiglio di Stato, con ordinanze n. 3925, n. 3926 e n. 3921 del 18 luglio 2008. Tutto ciò premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la disciplina legislativa regionale censurata sia costituzionalmente illegittima sotto diversi profili. In primo luogo, essa violerebbe l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto sarebbe «manifestamente errato, perché privo di contenuto», il riferimento da essa effettuato alla disposizione di cui all’art. 22, comma 8, della legge regionale n. 25 del 1996, la quale «non individua alcun criterio in base al quale realizzare i diversi inquadramenti del personale in servizio», tanto che essa a sua volta rinvia ad un successivo provvedimento. In secondo luogo, la disciplina impugnata si porrebbe in contrasto, ad avviso del ricorrente, con «i principi di imparzialità e buon andamento di cui agli artt. 3 e 97 Cost.», perché, nel far salvi gli inquadramenti disposti all’esito del procedimento di perequazione previsto dal regolamento annullato dal Tar del Lazio insieme ai relativi atti applicativi, da un lato, avrebbe sostanzialmente eluso le statuizioni del giudice amministrativo e, dall’altro, avrebbe consentito l’accesso dei dipendenti a funzioni più elevate in deroga alla regola del pubblico concorso e in contrasto con la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale tale deroga è ammissibile solo «in presenza di peculiari ragioni giustificatrici» e comunque «non sono ragionevoli le norme che prevedano scivolamenti automatici verso posizioni superiori». 2. – Si è costituita in giudizio, con atto depositato in data 28 luglio 2009, la Regione Lazio, chiedendo che il ricorso sia dichiarato manifestamente inammissibile o, in subordine, che le censure in esso contenute siano dichiarate manifestamente infondate. La difesa regionale ritiene, in particolare, che la prima censura svolta dal Presidente del Consiglio dei ministri, relativa alla irragionevolezza asseritamente connessa alla mancata individuazione dei criteri per gli inquadramenti del personale in servizio, sia infondata dal momento che la legge impugnata «ha inteso dare fondamento legislativo alle previsioni di cui al regolamento regionale n. 2 del 2001», che «prevedeva proprio quei criteri di inquadramento la cui mancanza» viene lamentata dal ricorrente. Del resto – osserva ancora la Regione – la disciplina legislativa regionale censurata «non fa altro che mantenere fermi gli inquadramenti già disposti in forza della legge regionale n. 25 del 1996 e del regolamento regionale n. 2 del 2001, sicché non aveva alcun bisogno di stabilire criteri che, in realtà, erano già stati fissati in precedenza». Quanto alla censura relativa alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost., per asserita elusione delle statuizioni del giudice amministrativo, la difesa regionale osserva che la pronuncia del Tar Lazio n. 3108 del 2008 ha annullato per vizio di incompetenza il regolamento regionale n. 2 del 2001, e i relativi atti applicativi, ciò in quanto la Regione Lazio aveva adottato un regolamento e non una legge regionale. Sicché la legge impugnata «lungi dal contrastare, porta esattamente ad effetto quanto stabilito dal Tar del Lazio, procedendo all’adozione di quell’atto legislativo del quale il giudice amministrativo aveva constatato (e censurato) la carenza». Inoltre, la difesa regionale ritiene che non sussista alcun divieto di adottare leggi che incidano sui procedimenti giurisdizionali in corso, purché non annullino gli effetti del giudicato, che nella fattispecie in esame non si è formato. Con riferimento, infine, alla censura relativa alla asserita violazione del principio del concorso pubblico, la difesa regionale considera sussistenti le condizioni richieste dalla giurisprudenza costituzionale affinché siano consentite deroghe alla regola del concorso pubblico: in primo luogo, l’area di validità della deroga sarebbe infatti «delimitata in modo molto preciso, essendo applicabile solo ed esclusivamente ad una categoria puntualmente indicata di dipendenti regionali»; in secondo luogo, la deroga sarebbe giustificata da «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico», consistenti nell’esigenza di soddisfare le «finalità perequative già perseguite con il regolamento regionale n. 2 del 2001». 3. – In data 20 aprile 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha depositato memoria con la quale ha ribadito quanto sostenuto nell’atto introduttivo del giudizio. La difesa erariale ha rilevato, in particolare, che anche il Consiglio di Stato, sezione V, con ordinanza depositata il 4 agosto 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge censurata, in ordine alla quale ha «diffusamente (e condivisibilmente) rappresenta[to] dubbi di legittimità costituzionale». 4. – In data 20 aprile 2010, la Regione Lazio ha depositato a sua volta memoria, confermando e sviluppando le argomentazioni esposte nell’atto di costituzione. La difesa regionale ritiene, preliminarmente, che il ricorso sia inammissibile, perché riferito ad una intera legge regionale le cui previsioni non sono tutte oggetto di argomentata censura, o, comunque, parzialmente inammissibile, dovendo essere scrutinato con esclusivo riguardo all’art. 1, comma 1, della legge impugnata. Nel merito, la difesa regionale ribadisce quanto affermato nell’atto di costituzione. Considerato in diritto 1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge della Regione Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia di personale), la quale stabilisce, in particolare, che «è fatta salva la qualifica o categoria già attribuita al personale alla data di entrata in vigore della presente legge per effetto dell’applicazione dell’articolo 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio 1996, n. 25 (Norme sulla dirigenza e sull’organizzazione regionale) e successive modifiche, purché lo stesso abbia svolto le funzioni o mansioni corrispondenti alla predetta qualifica o categoria, conferite con atto formale ed effettivamente esercitate per almeno un triennio». Ad avviso del ricorrente la disciplina impugnata si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Essa, nel far salvi gli effetti di provvedimenti di reinquadramento di dipendenti regionali adottati in applicazione del regolamento della Giunta regionale 10 maggio 2001, n. 2 (Regolamento di attuazione dell’art. 22, comma 8, della legge regionale 1° luglio 1996, n. 25), a sua volta attuativo dell’art. 22 della legge della Regione Lazio n. 25 del 1996, da un lato, eluderebbe la pronuncia con cui il Tribunale amministrativo del Lazio ha annullato il predetto regolamento n. 2 del 2001 e, dall’altro lato, consentirebbe l’accesso dei dipendenti a funzioni più elevate in deroga alla regola del pubblico concorso. Tale normativa violerebbe poi l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto sarebbe «manifestamente errato, perché privo di contenuto», il riferimento da essa effettuato alla disposizione di cui all’art. 22, comma 8, della legge della Regione Lazio n. 25 del 1996. 2. – Deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Lazio per avere il ricorrente impugnato una intera legge regionale. Per costante giurisprudenza costituzionale, sono infatti «ammissibili […] le impugnative contro intere leggi caratterizzate da normative omogenee e tutte coinvolte dalle censure» (fra le molte, sentenza n. 201 del 2008). Nel caso in esame, è palese che le norme contenute nella legge impugnata sono omogenee e tutte coinvolte dalle censure formulate nel ricorso. Il testo legislativo censurato si compone, infatti, di due articoli: il primo dispone la «perequazione» che è oggetto diretto delle censure argomentate nel ricorso (comma 1), ne circoscrive l’area dei destinatari (comma 2) e ne regola, infine, gli effetti sul piano della posizione economica del personale che vi è interessato (comma 3); il secondo si limita a regolare l’entrata in vigore della legge. 3. – Nel merito, la questione è fondata con riferimento al principio del concorso pubblico, di cui all’art. 97 Cost. La disciplina oggetto di censura concerne i meccanismi di inquadramento dei dipendenti regionali provenienti da altre amministrazioni. Con la legge della Regione Lazio 23 marzo 1988, n. 15 (Reinquadramento del personale già inquadrato alla Regione con L.R. 15 gennaio 1983, n. 2 e con L.R. 15 gennaio 1983, n. 3), alcune categorie di dipendenti regionali, già inquadrati in base alla corrispondenza fra le qualifiche rivestite nell’ente di provenienza e quelle proprie dell’ordinamento regionale, hanno ottenuto una revisione di tale inquadramento, sulla base di un criterio più favorevole, fondato sui titoli posseduti ad una certa data e, in particolare, sull’anzianità di servizio. Ciò ha prodotto una situazione di asserita «sperequazione» rispetto ai dipendenti che non hanno potuto beneficiare di tale più favorevole criterio di inquadramento, per rimediare alla quale è intervenuto, dapprima, l’art. 22, comma 8, della legge della Regione Lazio n. 25 del 1996 (che però si è limitato a rinviare ad un «successivo provvedimento») e, in seguito, il regolamento n. 2 del 2001, che ha esteso anche al personale in precedenza escluso il diritto di ottenere la revisione del proprio inquadramento, secondo i più favorevoli criteri previsti dalla legge regionale n. 15 del 1988. Il successivo annullamento di tale regolamento, unitamente agli atti di reinquadramento in base ad esso adottati, da parte del Tribunale amministrativo regionale, ha indotto, infine, il legislatore regionale ad approvare la disciplina impugnata, volta a sanare la posizione dei dipendenti regionali «perequati». Tale disciplina, nel riconoscere ad un vasto numero di dipendenti regionali (ivi compresi molti dirigenti) l’accesso ad un livello superiore di inquadramento, acquisito in base ad un procedimento di «perequazione» esclusivamente ad essi riservato, rappresenta una deroga al principio del concorso pubblico. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale, infatti, il concorso pubblico, quale «forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni», è necessario non soltanto nelle «ipotesi di assunzione di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, [ma anche…] nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio (ciò che comunque costituisce una “forma di reclutamento”)» (fra le molte, sentenza n. 293 del 2009). Questa Corte ha più volte affermato che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al principio del concorso pubblico deve essere «delimitata in modo rigoroso» (fra le più recenti, sentenze n. 100 e n. 9 del 2010). Simili deroghe possono infatti considerarsi legittime solo quando funzionali esse stesse alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione e ove ricorrano «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle» (sentenza n. 293 del 2009). Ebbene, nella fattispecie in esame, tali esigenze non ricorrono. Non può essere infatti condivisa la tesi della difesa regionale, secondo cui la deroga al concorso pubblico introdotta dalla disciplina impugnata sarebbe giustificata dalle finalità «perequative» che la ispirano. A prescindere dalla circostanza che la c.d. «perequazione», assicurata dalle disposizioni censurate, determinerebbe, a sua volta, una più grave disparità di trattamento fra i dipendenti che ne verrebbero a beneficiare e quelli che hanno avuto accesso alle medesime qualifiche in virtù del superamento di un concorso, va comunque rilevato che questa Corte ha avuto modo, in più occasioni, di chiarire quale sia la natura delle «peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico» che consentono al legislatore di derogare al principio costituzionale del concorso pubblico. Esse devono essere ricollegabili alle peculiarità delle «funzioni» che il personale da reclutare è chiamato a svolgere (sentenza n. 293 del 2009); devono riferirsi a specifiche necessità «funzionali» dell’amministrazione (sentenze n. 215 del 2009 e n. 363 del 2006); devono essere desumibili dalle «funzioni» svolte dal personale reclutato (sentenza n. 81 del 2006). Alla luce di tali affermazioni, è da escludere che ragioni giustificative della deroga al concorso pubblico possano essere ricollegate ad un particolare interesse degli stessi dipendenti beneficiari della deroga o, comunque, ad esigenze strumentali dell’amministrazione, connesse alla gestione del personale. Occorre, invece, che eventuali deroghe trovino un fondamento giustificativo nella peculiare natura delle funzioni dell’amministrazione, cioè dei compiti ad essa attribuiti per soddisfare gli interessi della collettività e per la cui realizzazione i dipendenti pubblici sono reclutati. La finalità di perequare trattamenti normativi e retributivi dei dipendenti in servizio risponde ad un interesse strumentale dell’amministrazione e prescinde dalla natura delle funzioni attribuite a tali dipendenti. Essa, pertanto, anche se ravvisabile nella disciplina censurata, non è comunque in grado di giustificare il mancato rispetto del principio del concorso pubblico. Restano assorbiti gli altri profili di censura. PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 16 aprile 2009, n. 14 (Disposizioni in materia di personale). Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2010. F.to: Francesco AMIRANTE, Presidente Sabino CASSESE, Redattore Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2010. Il Direttore della Cancelleria F.to: DI PAOLA