Riforma Camere di Commercio, nuovi dubbi di costituzionalità. USB: in attesa della Consulta, fermare gli accorpamenti nelle regioni

Roma -

La riforma delle Camere di Commercio attuata dal governo Renzi, che prevede la diminuzione delle stesse da 105 a 60 in virtù degli accorpamenti previsti in molte regioni, incappa in nuovi problemi di legittimità costituzionale.

Il TAR di Roma, con l’ ordinanza del 15/03/2019 sul ricorso presentato dalla CCIAA di Pavia, ha deciso di rimettere alla Corte Costituzionale gli atti della legge delega e della norma delegata (art. 10 della Legge delega 7 agosto 2015, n. 124 e art. 3 D.Lgs 219/2016).

Non è la prima volta che questa inutile e dannosa riforma di riordino del sistema camerale si scontra con la Costituzione: con sentenza n.261 del 13 dicembre 2017, la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 4, del D.Lgs 219 del 2016, con il quale si imponeva alle Regioni la riorganizzazione del sistema camerale - con la soppressione delle Camere di Commercio interessate dal processo di riordino e razionalizzazione - senza un reale coinvolgimento delle Autonomie Locali.

USB, unica organizzazione sindacale a non aver sottoscritto l’accordo di riorganizzazione, anche alla luce di questo ulteriore pronunciamento chiede al governo di intervenire immediatamente bloccando l’attuazione del processo di riforma del sistema camerale, soprattutto in quelle regioni come Umbria, Puglia, Basilicata, Liguria, Molise dove gli effetti negativi degli accorpamenti in atto si sono prodotti già sui servizi e ai danni del personale coinvolto.

È chiaro oramai che questa riforma non arreca benefici al sistema produttivo del Paese, ma mette solo a repentaglio servizi e centinaia di posti di lavoro.

Con la scusa di rivedere il sistema camerale, si sta in verità cercando di svendere al privato un sistema di servizi qualificati rivolto alle piccole e medie imprese che funziona e che si autofinanziava con il diritto camerale annuale.

Roma, 19 marzo 2019

USB P.I. ENTI LOCALI