Che fine hanno fatto i Nidi? Diffondiamo e difendiamo la cultura dei Nidi d’Infanzia.
Che fine hanno fatto i Nidi?
Diffondiamo e difendiamo la cultura dei Nidi d’Infanzia.
È stato presentato ieri, dal Presidente Conte e dalla Ministra Azzolina, il Piano-Scuola 2020-2021, in una conferenza stampa nel corso della quale i nidi d’infanzia non sono stati mai nominati, né i giornalisti presenti hanno posto una sola domanda su di essi: non facciamo fatica ad immaginare le ragioni di tale omissione.
I nidi, voluti fortemente negli anni '70 dai Movimenti delle Donne, sono luoghi educativi essenziali, per lo sviluppo psicofisico delle bambine e dei bambini e fondamentali per l'indipendenza e la realizzazione femminile, è gravissimo ed indegno di un Paese civile che ci sia ancora la necessità di difenderli.
Non solo: a tutt'oggi, nel nostro Paese, sono presenti fortissime disuguaglianze sociali, educative e culturali, cause ed effetti, al contempo, di quelle economiche, la povertà, anche infantile, raggiunge in alcune zone livelli altissimi e sono tuttora troppe le famiglie che non riescono ad accedere al nido anche a causa del fatto che ancora, anacronisticamente, è gestito come servizio a domanda individuale. I dati che emergono da diversi studi sono allarmanti: in molte aree del nostro Paese, sia nelle periferie delle grandi città che in alcune regioni, soprattutto al centro-sud e nelle isole, territori nei quali la cultura del nido è meno diffusa, sono significativamente più alti la disoccupazione, soprattutto femminile, e l'abbandono scolastico.
Diffondere su tutto il territorio nazionale i nidi d’infanzia è dunque un atto politico di valore pedagogico e sociale alto, ma ci appare evidente che ancora una volta non c’è il coraggio di compiere una tale scelta, di considerare il nido come “scuola”, come primo e fondamentale passo all’interno del percorso formativo della persona.
Nel Piano-Scuola, un documento di circa cinquanta pagine, oggetto (a torto evidentemente!) di grandi aspettative, meno di due pagine sono dedicate al sistema integrato di educazione e istruzione dell’infanzia, in contraddizione palese con il riconoscimento, che vi è contenuto, delle “esigenze del tutto particolari, legate alla corporeità e al movimento” dei bambini di età inferiore a sei anni, e con la necessità, per la prossima riapertura, di adottare “misure particolarmente attente alla garanzia del rispetto non solo delle prescrizioni sanitarie, ma anche della qualità pedagogica delle relazioni”.
Per chi ha avuto modo di prendere visione della bozza del Piano-Scuola, non può non saltare agli occhi il tentativo maldestro di “mettere una pezza” alle inevitabili contestazioni che avrebbe sollevato mantenere nel documento definitivo la stesura iniziale e soprattutto il titolo di quelle due paginette: le parole scuola dell’infanzia sono state sostituite da definizioni ritenute meno attaccabili, ma la sostanza non cambia, perché la fascia di età 0-3 anni non ha bisogno di un riconoscimento formale, ma sostanziale e questo, ancora una volta viene disatteso!
È evidente che nel Piano il nido non compare, non perché è sottinteso, ma perché volutamente ignorato!
Per tenere conto delle esigenze del tutto particolari dei bambini più piccoli bisognerebbe in primo luogo, ad esempio, sapere perché si parla di “sistema integrato di educazione e istruzione dell’infanzia”: integrare vuol dire unire più elementi che si completano reciprocamente. Ciò significa che nessuno degli elementi ha minore valore e ciascuno di essi ha le proprie peculiarità da portare in dote per la valorizzazione comune, ma nessuna delle componenti deve perdere la propria identità: nel nostro caso né il nido né la scuola dell’infanzia.
In virtù di tali presupposti il Piano avrebbe dovuto contenere indicazioni generali per lo 0-6, accanto ad istruzioni e prescrizioni specifiche per le due differenti fasce di età: non sembra troppo difficile capire che un bambino di 8 mesi non abbia le stesse esigenze di uno di 4 anni!
Di fatto il Piano è stato redatto partendo da principi e presupposti sbagliati riguardo od ogni ordine di scuola, incentrato com’è sull’autonomia scolastica e la sussidiarietà.
Per i servizi educativi in particolare, l'intera riorganizzazione viene demandata ai Comuni, i quali dovranno farsi carico, contemporaneamente, anche degli edifici delle scuole statali, di loro pertinenza e, con le irrisorie risorse economiche messe a disposizione, considerando la tutt’altro che rosea situazione in cui versano i bilanci di tali enti, incontreranno grandi difficoltà nel mettere in atto le indicazioni delle linee guida, che invece prevedono costi altissimi: non è difficile prevedere che ancora una volta saranno i nidi i primi ad essere sacrificati, probabilmente insieme alle scuole dell’infanzia comunali, in termini sia qualitativi che quantitativi.
Infatti accanto alla necessità (che riguarda tutti gli ordini di scuola, altro onere per gli Enti Locali) di reperire nuovi spazi da adibire a nidi e scuole dell'infanzia, per continuare ad accogliere almeno lo stesso numero di bambini e bambine di prima, abbassando il rapporto numerico educatore-insegnante/bambini, per lavorare con gruppi fissi, per dotare tutti dei necessari DPI, per allestire e far funzionare correttamente il triage, occorrerebbero forti investimenti, assunzioni, stabilizzazioni e internalizzazioni, uno sforzo che, anche in presenza della volontà politica, gli enti Locali non potrebbero sostenere.
Altro aspetto negativo è costituito dal richiamo al “Patto educativo di Corresponsabilità” tra scuola e famiglia: il patto educativo è indispensabile per la crescita armoniosa delle bambine e dei bambini, le lavoratrici ed i lavoratori del settore l’hanno sostenuto e promosso, ma nella inedita emergenza in cui ci troviamo, in cui sono in gioco sicurezza e salute, può costituire, purtroppo, un rischio affidarsi alla responsabilità individuale.
Allarmante è, inoltre, l’apertura che, già nella premessa del Piano, si esplicita all’ingresso del privato e del terzo settore nella Scuola, a supporto dell'Istituzione scolastica, per lo svolgimento di attività educative e culturali, alternative alla didattica: si tratta di un’apertura, di cui si possono già verificare gli elementi di pericolosità osservando le modalità di gestione dei centri estivi e ricreativi.
In sintesi, riteniamo che il patrimonio educativo, culturale e sociale costituito dal nido pubblico, che si è creato in Italia negli ultimi 50 anni e che appartiene a tutta la società civile, con l'epidemia da Covid-19, si stia disperdendo e stia rischiando di regredire e scivolare verso la privatizzazione e l’esternalizzazione, anziché avere l’occasione di un miglioramento e un rilancio qualitativo.
Occorre scongiurare tale rischio, per un nido d’infanzia che sia finalmente, di diritto, la “prima scuola” di tutti i bambini e tutte le bambine.
Usb P.I. Funzioni Locali Settore Educativo e Scolastico
Roma 27-6-2020