LA REGIONE LAZIO RI-CONDANNATA PER COMPORTAMENTO ANTISINDACALE

Il Giudice di secondo grado conferma la condanna per il comportamento antisindacale della Regione Lazio e chiama in causa come corresponsabili cgil-cisl-uil-csa e il coordinatore della RSU (cisl)

 

Roma -

Nell’udienza del 25 maggio 2006 è stata confermata la condanna della regione lazio per attività antisindacale. Il Giudice del Lavoro ha infatti respinto l’opposizione della Regione Lazio avverso il decreto con il quale il Tribunale di Roma - Sezione Lavoro - in data 14 marzo 2005 aveva accolto il ricorso ex art. 28 legge 300/70, proposto da questa O.S..

La Regione è stata altresì condannata a liquidare € 1.693,12 di spese di lite.

 

Come tutti ricorderanno, la RdB/CUB aveva denunciato il fatto che l’amministrazione avesse convocato il 20/12/2004 la decaduta RSU per siglare un "accordo" di redistribuzione delle economie del 2004 relative al fondo del salario accessorio del personale (A-B-C-D), malgrado la nuova RSU fosse già stata eletta e pienamente in carica. Il Tribunale ha ritenuto di chiamare in causa anche le OO.SS. CGIL, CISL, UIL, CSA e la RSU (nella persona del coordinatore Remo Coniglio). CGIL e CISL hanno partecipato, paradossalmente in difesa dell’amministrazione, mentre le altre sono state dichiarate contumaci, in quanto non si sono neanche costituite. Appare alquanto singolare che proprio il coordinatore della RSU, che per primo avrebbe dovuto tutelare la nuova RSU rilevando tale irregolarità, si sia completamente lavato le mani su questa vicenda.

Tale decisione del Giudice, quindi, riguarda anche le OO.SS. sopraindicate.

 

L’accordo era stato da noi contestato anche nel merito, perché tale "redistribuzione" ha ingiustamente negato alle categorie A, B e C, l’incremento della produttività collettiva di € 43.03 mensili, previsto solamente per la fascia "D".

 

La Regione aveva tentato di difendersi richiamando il regolamento della precedente RSU, il quale, grazie ad una creativa interpretazione dell’amministrazione, poteva consentire la convocazione della "vecchia" rappresentanza dei lavoratori.

 

Ovviamente il Giudice del Lavoro, che in data 14 marzo 2005 aveva già accolto il nostro ricorso e condannato la Regione ad annullare tale accordo ed a rinnovarlo con la RSU in carica, nonché a pagare le spese di lite ed a pubblicare il decreto del Giudice sul quotidiano il Messaggero, il 26 maggio 2006 ha rigettato l’opposizione della Regione Lazio ed ha confermato la condanna.

 

Bisogna che il Presidente Marrazzo, che faceva della democrazia e della trasparenza il cavallo di battaglia della sua politica, si renda conto di essere pienamente responsabile di tale comportamento antisindacale, soprattutto dopo gli innumerevoli tentativi della nostra O.S. di risolvere il contenzioso con una conciliazione che riconoscesse i nostri diritti sindacali ed evitasse all’amministrazione una nuova condanna.

Quante volte ancora bisognerà fare ricorso ai giudici per l’affermazione dei valori di democrazia e trasparenza? Certo è che se non saremo ascoltati, continueremo instancabilmente a far valere i diritti sindacali e dei lavoratori per via giudiziaria, con le conseguenze (tra cui le magre figure) che l’amministrazione dovrà ogni volta collezionare (a spese dei contribuenti).

Ancora una volta auspichiamo che chi ha orecchie per intendere si renda definitavene conto della necessità di ripristinare corrette relazioni sindacali rafforzando il ruolo e la funzione della RSU, non intesa come organismo oligarchico, ma realmente espressivo delle pluralità e diversità di tutte le componenti lavorative presenti nell’ente come la RdB/CUB, che, rappresentando il oltre 12% dei voti espressi per la RSU, s’impegna incessantemente per tutelare i diritti di tutti i lavoratori.

 

 Chiediamo, pertanto, all’amministrazione di instaurare con la nostra O.S. un confronto formale su tutte le materie di contrattazione sindacale evitando nuove azioni giudiziarie.

Richiediamo, ancora una volta, all’ineffabile "coordinatore" della RSU, responsabile della sottoscrizione di un accordo annullato dal tribunale, di rassegnare le dimissioni dall’incarico.