Meritocrazia? Performance ? Vogliamo la 14°. Tutto il resto è noia.

Genova -

Meritocrazia? Performance ? Vogliamo la 14°. Tutto il resto è noia.

 

La meritocrazia nel pubblico impiego

 

L’ideologia del merito ha radici piuttosto lontane. Nella PA è stata introdotta da oltre vent’anni. La formalizzazione di tale sistema si ha prima con il decreto “Brunetta” (accompagnato dalla immancabile narrazione sul fannullonismo nel pubblico impiego) e, più recentemente, con la cosiddetta “direttiva madre” del ministro Zangrillo. I suoi effetti negativi si sono fatti sentire da almeno una quindicina di anni nelle Funzioni Locali, che, essendo uno dei settori più frammentati e deboli, ha subìto la fase di sperimentazione nella PA. Ma la meritocrazia è un falso mito, poiché non è vero che tutti hanno le stesse opportunità. Si parte dalle disuguaglianze, che vengono in tal modo legittimate.

E non esiste alcun sistema di valutazione “più oggettivo”.

 

La performance. Ovvero mettere i lavoratori in competizione fra loro.

 

Se andiamo all’osso, alla fin fine, non è difficile spiegare in cosa consiste il sistema di valutazione della performance individuale. Se facciamo lo sforzo di alzare lo sguardo, oltre la narrazione fatta di “ciclo di gestione della performance”, “peso delle dimensioni della performance”, “obiettivi strategici”, “soft skill”, ecc… quello che rimane è questo:

 

Direttori e dirigenti pubblici, che guadagnano in media più di 100.000 euro l’anno, di cui la sola produttività può arrivare al doppio del salario medio annuo di un dipendente, decidono (indirettamente) quanto finirà nelle tasche di un dipendente in termini di produttività. Quest’ultima, quando è tanto, arriva a 3.000 euro l’anno negli enti più grandi e vicina allo zero in quelli più piccoli, quindi ben inferiore a quanto “i capi” prendono in un mese.

Decidono inoltre (un po’ meno indirettamente) a chi andranno le progressioni all’interno delle aree (e anche tra aree). Una progressione all’interno dell’area dei funzionari, quindi la più alta, ammonta a 1.600 euro lordi all’anno, che, quando va di lusso, si vede ogni tre anni! Figuriamoci quelle delle altre aree (650/750 euro lordi all’anno)!

Insomma, dal loro punto di vista, decidono il poco che andrà nelle nostre tasche.

Ma per noi quel poco è fondamentale per pagare un mutuo, una bolletta esorbitante, il centro estivo di un figlio, o anche pagare cure mediche …

Il che fa pensare anche a quanto sia offensivo il “rituale” della consegna della pagellina, con il dipendente solo davanti a loro, e senza alcuna possibilità concreta di controbattere.

La nostra dignità vale di più!

 

E’ un sistema che funziona (dal punto di vista dei sostenitori della meritocrazia)?

La nostra professionalità acquisita in anni di duro lavoro, non conta nulla?

 

Sembrerebbe di no, a detta della Corte dei Conti. Quest’ultima ritiene infatti che gli obiettivi siano “particolarmente bassi e autoreferenziali, oltre alla scelta di indicatori di performance poco sfidanti.”

Come risposta, il ministro della PA Paolo Zangrillo ha dichiarato che intende delegare ai dirigenti pubblici la decisione sulle promozioni dei dipendenti, ora relegata, secondo lui, a concorsi che non tengono conto del merito.

I direttori e dirigenti ci possono essere simpatici o antipatici, li possiamo considerare bravi o assolutamente inetti, possiamo prendere insieme il caffè o evitare come la peste qualsiasi forma di socialità, ma non è questo il punto.

 

Quale possibile sviluppo?

 

Mettendo insieme le argomentazioni della Corte dei Conti con quelle del ministro Zangrillo, sembra che si vada definendo ulteriormente il tema del merito. Viene da pensare a un sistema in cui i dirigenti decidono “chi far crescere”, senza passare per le performance. Abolizione delle pagelline, dunque? Può darsi di sì, con il risultato che il rapporto di lavoro nel pubblico impiego diventa una fotocopia di quello del lavoro privato: il lavoratore si trova ancora più solo davanti al dirigente.

 

Implicazioni?

 

Ma se questa sarà la strada, procedendo per analogia, poiché nel lavoro privato il dirigente che secondo l’azienda non funziona cambia lavoro, anche il dirigente pubblico che evidentemente non funziona, che perde lavoratori e lavoratrici, che ha destato e desta proteste e malumori più o meno formalizzati, che non raggiunge gli obiettivi (secondo l’ente-azienda), che sceglie male il suo staff, deve cambiare lavoro. A fare altro, ma non il dirigente.

Se ha la responsabilità della vita professionale dei lavoratori, la deve avere fino in fondo.

Se ha la responsabilità dell’organizzazione del lavoro (materia che non è più contrattabile), la deve avere fino in fondo.

 

Per l’USB Occorre cambiare un sistema offensivo, ingiusto e che non funziona!

Occorre istituire la 14° legata al profilo professionale e all’anzianità di servizio.

 

Noi vogliamo i nostri soldi!

Poi, con i suoi soldi, l’Amministrazione faccia quello che vuole.

 

USB P.I. Funzioni Locali Liguria                                                       29-5-2024