Roma. La lotteria della nascita
I nidi con "Roma bene comune" per il diritto ai servizi, all'educazione, alla cultura.
In allegato il volantino
ci sono persone più fortunate di altre perché nascono in un paese capace di amministrare i beni comuni; oppure sono fortunate perché appartengono a una classe sociale che, comunque vadano le cose, gli fornisce strumenti per sviluppare una vita sana, libera e armonica.
I più invece, non vincono la lotteria della nascita ed è per loro che le società avanzate e democratiche dovrebbero attrezzarsi per creare sistemi sociali in grado di fornire pari opportunità.
La condizione in cui ci troviamo oggi è invece sempre di più quella in cui chi ha privilegi se li tiene, li coltiva, li aumenta a spese dei più.
I nidi in Italia nascono nella “stagione dei diritti”, la stagione che aborrisce la logica delle lotterie.
Sono gli anni in cui si approva lo statuto dei lavoratori (1970), gli anni in cui viene varata una legge avanzata di tutela delle lavoratrici madri, in cui è contemplato, tra l’altro, il divieto di licenziamento in gravidanza e per assenza a seguito della malattia del figlio; gli anni in cui viene approvato un piano statale quinquennale per gli asili-nido, venendo incontro alle esigenze delle madri che lavorano.
E poi si fanno altri passi in avanti perché se i nidi facilitano l’ingresso della donna nel mondo del lavoro, diventano anche una testimonianza dell’azione attenta di una comunità capace di esprimere la propria funzione educativa di trasmissione di cultura, di saperi, di valori.
Quello a cui assistiamo oggi è invece l’attacco sistemico a quelli che pensavamo fossero diritti acquisiti attraverso lo svilimento di questi servizi, pensati e gestiti ormai solo con logiche mercantilistiche.
Ma anche sforzandosi di non polemizzare con le attuali politiche economiche di mercato, è incomprensibile la logica del disinvestimento laddove tutte le ricerche e le analisi ci dicono che “gli aspetti del capitale adulto, dalle abilità della forza lavoro, al comportamento cooperativo e legale si basano sulle capacità che si sviluppano durante l’infanzia” come afferma anche il rapporto pubblicato dall’Unicef nel 2008 (Report Card 8 – Come cambia la cura dell’infanzia).
Facilitare lo sviluppo di queste capacità è difficile se l’unica strategia utilizzata è quella del contenimento dei costi, dei tagli agli organici, della creazione di strutture che non educano ma hanno solo scopo assistenziale.
Roma Capitale oggi decide di tagliare ancora sul personale applicando il rapporto di media che impedirà la realizzazione di qualsiasi progetto educativo; dirotta il denaro pubblico verso il privato sapendo con precisione che questa scelta porta ad una maggiore povertà sociale per le lavoratrici e minore garanzia di qualità per i bambini e le famiglie; affida l’educazione ai nidi parrocchiali accrescendo l’invadenza vaticana in campi che dovrebbero essere garanzia di laicità.
Roma capitale sceglie cinicamente di disinvestire sul futuro.
E così sembra che oggi i bambini non abbiano nessuna importanza nella vita della nostra città ed invece, alla fine, sono quelli che hanno più importanza degli altri, sono quelli che contano veramente, quelli che danno un senso alla vita di tutti perché costruiscono il domani.
Se è vero che le relazioni stabili, sicure e incoraggianti con coloro che accudiscono i bambini nei primi anni di vita, sono fondamentali per tutti gli aspetti dello sviluppo, la strada è obbligata: investire in questi servizi, sottrarli ai privati il cui solo scopo è quello del profitto; garantire alle lavoratrici gli strumenti per adempiere alla loro funzione di cura e di educazione.
Questo è possibile solo se sapremo mantenere alto il livello di confronto, se sapremo andare avanti in questa battaglia di civiltà, unendo le lotte per una “Roma bene comune”, insieme a tutti coloro che vogliono un’altra città: quella del diritto all’educazione, alla cultura, ai servizi, alla casa, al reddito.