SMART WORKING - LAVORO AGILE: UN VANTAGGIO PER CHI?
SMART WORKING - LAVORO AGILE: UN VANTAGGIO PER CHI?
Con soddisfazione abbiamo appreso che dopo le richieste anche di Usb e di tutta la Rsu, l’Amministrazione ha accolto la richiesta di allargare le fasce di flessibilità in entrata e diminuire i rientri dal telelavoro per rispondere alle esigenze dei dipendenti dopo il drammatico crollo del Ponte Morandi.
Le grandi tragedie, figlie delle privatizzazioni e della ricerca del massimo profitto sulla pelle dei cittadini e dei lavoratori, si portano dietro strascichi molto negativi. A volte però questi strascichi ci vengono presentati come un’ancora di salvezza.
La tanto caldeggiata proposta di introdurre lo smart working e altre forme di lavoro flessibile nei luoghi di lavoro, cosa che sta accadendo anche nella nostra Amministrazione, è esattamente una di queste situazioni.
Come conseguenza del tragico crollo del Ponte Morandi e alle conseguenti difficoltà di spostamento, al fine apparente di introdurre forme di “lavoro flessibile che permette di conciliare meglio i tempi di vita e di lavoro”, apprendiamo che il Comune di Genova, la Regione Liguria, la Città Metropolitana di Genova, altri enti pubblici e alcune aziende private stanno partecipando ad un progetto sperimentale per lo sviluppo del “lavoro agile”. Ci dicono che sarà una forma di conciliazione dei tempi vita – lavoro a favore dei propri dipendenti e una modalità di sviluppo del welfare cittadino.
La nostra Amministrazione sta predisponendo una bozza di regolamento che servirà a stipulare accordi per il lavoro agile con il singolo dipendente.
Lo smart working però è profondamente diverso dal telelavoro e dall’orario flessibile.
Il telelavoro infatti non è altro che l’erogazione della propria prestazione lavorativa dalla propria abitazione anziché dall’Ufficio. Nel corso degli anni è stato sperimentato ed istituito in molte Amministrazioni pubbliche.
L’orario flessibile è a vantaggio dei lavoratori. Se entri prima puoi uscire prima e se entri dopo puoi uscire più tardi per recuperare.
Il “lavoro agile”, invece, si presenta in sostanza come una nuova forma di cottimo, dato che una parte del salario viene erogata in base a risultati misurabili. L’orario di servizio non è più collettivo ma può essere diverso per ogni singolo dipendente.
Il risultato atteso viene stabilito appunto mediante un accordo tra le due parti e il potere contrattuale del datore di lavoro non è comparabile a quello del singolo lavoratore, per cui spesso le condizioni concordate rispondono soprattutto alle esigenze datoriali.
Poiché non c’è limite della giornata lavorativa quale misura di tutela, potrà facilmente prodursi una incessante rincorsa del risultato, spesso al di sopra delle possibilità medie, e spesso al di fuori del normale orario giornaliero, come la stessa legge consente (sono tempi di lavoro anche il sabato, la domenica e la notte). Anche perché il lavoratore si fa carico di tutti i tempi di preparazione, dei tempi morti dovuti a eventuali lentezze degli strumenti, alla ricerca di informazioni necessarie, ai contatti con i referenti, in sostanza di tutto quel tempo che non è immediatamente produttivo, ma serve alla produzione.
Nel caso del telelavoro e dell’orario flessibile questi tempi connessi alla produzione sono a carico del datore di lavoro, rientrano cioè nella giornata lavorativa, mentre nel caso del lavoro agile sono a carico del lavoratore.
La cancellazione dell’orario di servizio come misura e limite nella prestazione, può portare facilmente ad una dilatazione del tempo di lavoro, a spese del tempo da dedicare alla vita privata.
Del resto la Legge 81/2017, “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi di lavoro subordinato”, che prevede la sperimentazione dello smart working, non è altro che un provvedimento legislativo derivante da una delega del Jobs Act (eh sì, proprio così!).
Ma come si passa all’applicazione nella Pubblica Amministrazione? Dalla Riforma Madia, che attraverso la circolare dal titolo accattivante e fuorviante “Linee guida contenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti” pone le basi per la sperimentazione nella pubblica amministrazione dello smart working, con l’obiettivo messo nero su bianco “di aumentare la produttività e risparmiare”.
Nel settore privato il lavoro agile sta producendo aumenti di produzione fino al 25%, e risparmi fino al 30%, sugli spazi, sulle utenze elettriche e riscaldamento (interi settori lavorativi vengono messi in regime di lavoro agile, spesso non su base volontaria, ed i relativi spazi vengono riutilizzati per altre attività), sulla sicurezza, sui buoni pasto etc...Tutto guadagno in più per il datore di lavoro.
Mentre telelavoro e orario di entrata flessibile sono auspicabili, sia in questa fase che in altre situazioni di emergenza (es. allerta meteo), il lavoro agile è la foglia di fico per coprire una profonda e pericolosa trasformazione del rapporto di lavoro, e come tale va contrastato.
E’ già grave introdurre altre forme di precarizzazione del lavoro pubblico, ma quando si giustificano con gli stati di emergenza (purtroppo ricorrenti nel nostro Paese) è ancora più grave.
USB dice NO al “lavoro agile”, nella sua forma di smart working o in qualsiasi altra forma. Contro la precarizzazione del rapporto di lavoro nel P.I., contro il continuo smantellamento del CCNL.
USB P.I. funzioni Locali Città Metropolitana di Genova 13-9-2018