Nidi Privati e Nidi Famiglia: di chi è l'affare?
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L’inchiesta di Tv7, andata in onda su Rai Uno venerdì 12 febbraio in tarda serata, sugli asili nido privati ha confermato in modo impietoso quello che da sempre il sindacalismo di base denuncia, e cioè che il servizio pubblico è sempre preferibile ad un servizio privato, perché in quest’ultimo la prima necessità è il profitto.
Il servizio ha documentato storie di bambini maltrattati, o non accuditi; istituti “fai da te” che diventano un business e che sfuggono al controllo dei Comuni e delle Ulss. Nidi Famiglia che evadono le tasse, bambini lasciati in spazi angusti o scantinati, senza spazi all’aperto, senza cucine, senza controllo dei pasti. E’ stata un’inchiesta che non lasciava vie di scampo, dettagliata negli esempi riportati di numerosi nido privati di tantissime città.
Si sa che per un bambino al di sotto del terzo anno d’età è impossibile comunicare, argomentando sufficientemente a parole, se gli adulti che si sono presi cura di lui, sono stati gentili e rispettosi o arroganti e violenti, se il cibo somministrato era caldo e sufficiente o deteriorato e insufficiente, se è stato cambiato quando ne aveva bisogno, se è stato consolato quando piangeva, se i suoi bisogni di serenità, di riposo, d’affetto, di pulizia, d’ascolto, sono stati accolti o se, invece, l’unica preoccupazione a lui rivolta è stata quella di consegnarlo “integro fisicamente” ai genitori al termine della giornata. Un bambino così piccolo non è in grado di valutare tutto questo in modo consapevole e l’eventuale incuria o maltrattamenti, sia psicologici che fisici, si manifestano in forme di disagio che a volte solo un’attenta ed esperta osservazione riesce ad interpretare, e talvolta questo può accadere anche molto tardi rispetto a quando il problema è avvenuto.
Per questi motivi tutti i servizi rivolti alla prima infanzia sono particolarmente delicati e necessitano di un’attenzione maggiore rispetto agli altri. Il lavoro d’equipe garantito nei nidi pubblici, vede coinvolti più soggetti nella cura e nell’educazione del bambino (cuochi, ausiliari, educatori), e ciò rappresenta la migliore garanzia per ridurre al massimo eventuali mancanze o abusi, soprattutto se il personale non è ricattabile ed è assunto a tempo indeterminato.
Ogni privatizzazione di un servizio pubblico rappresenta un grave danno per i lavoratori/utenti e per le loro famiglie; che si tratti di asili, di case di riposo, di ospedali, di ferrovie o d’università, il carattere pubblico va difeso sempre, perché è nella stragrande maggioranza dei casi garanzia di maggior qualità. Più equo, accessibile e vantaggioso rispetto ad un servizio privato che deve rispondere alle regole del mercato e del profitto. Non passa giorno che non si scoprano ospizi dell’orrore con anziani segregati, maltrattati o addirittura scomparsi. Ci hanno colpito le immagini del Nido Privato Cip Ciop di Pistoia dove bambini piccolissimi venivano picchiati e costretti a mangiare il loro vomito.
“Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Questo proverbio africano, in tutta la sua saggezza, ha trovato una sorta di concretizzazione nella nostra società occidentale industrializzata, attraverso l’istituzione degli asili nido che, affiancando e integrando la famiglia nell’opera educativa, hanno risolto il problema, rispetto al “dove e con chi lasciare i figli piccoli” durante l’orario di lavoro dei genitori.
Pur essendo ancora lontani dalla loro equa distribuzione nel territorio nazionale e pur scontando ancora, come la scuola d’infanzia, il condizionamento della cultura che vede nella figura femminile l’unica depositaria del sapere nella cura e nell’educazione dei bambini piccoli (rarissimi i casi di presenza di educatori maschi), gli asili nido hanno nel tempo fatto passi da gigante nella qualità del servizio ed hanno rappresentato per un lungo periodo un’isola felice nella quale le differenze di classe venivano parzialmente azzerate e, pur con limiti talvolta anche pesanti, hanno offerto ai bambini e ai genitori lavoratori un’esperienza sicura e stimolante.
E’ alla fine degli anni 70 che le tematiche educative vedono il loro ingresso anche negli asili nido (1971-legge n.1044). Sulla spinta del movimento dei lavoratori e di emancipazione delle donne di quegli anni, gli asili nido sono sottratti da un ruolo di mero parcheggio per elevarli a servizi educativi in supporto alla famiglia, con proposte di gestione sociale del servizio, mettendo in discussione anche il ruolo del personale che da “assistente” diventa “educatore”. Gli asili nido diventano un tema non più circoscritto alle mere esigenze delle imprese e delle madri lavoratrici ma diventano uno spazio sociale-educativo che dovrebbe coinvolgere l’intera collettività.
Per tutti gli anni 1970-80 gli asili nido del paese conoscono un balzo nella qualità del servizio e nella proposta educativa, che si mostra spesso anche nella completa ristrutturazione degli ambienti che, da locali simili ad ambulatori medici, diventano locali pensati e studiati a misura di bambino, stimolanti per lo sviluppo della sua intelligenza e garanti della sua sicurezza.
Sono gli anni del grande protagonismo dei lavoratori, cambia anche il linguaggio e chi si prende cura dei bambini non è più una puericultrice chiamata “zia” ma un’educatrice assunta con concorso pubblico, con diploma di scuola media superiore specifico, spesso laureata. I locali degli asili da “reparti” (linguaggio ospedaliero) diventano “sezioni”. Sono gli anni delle battaglie che vedono uniti genitori e personale, sia per rivendicazioni riguardanti i contratti economici, sia per la sicurezza e la ristrutturazione degli ambienti.
Gli anni della concertazione e della flessibilità.
Gli anni ’90 segnano a poco a poco, anche in questo settore, un’involuzione. Con la motivazione delle lunghe liste d’attesa e delle rette troppo alte per le famiglie, puntando il dito sulla mancanza di flessibilità dell’orario di apertura, insufficiente a soddisfare le esigenze della famiglia che lavora inizia il tormentone della necessità di finanziare le realtà private e si auspica l’apertura dei “nidi famiglia”.
I “nidi –famiglia”: la crisi scaricata sui più piccoli
I “Nidi-famiglia” sono quindi la soluzione all’orario flessibile del lavoro precario odierno, allo smantellamento dei servizi pubblici e, quindi, anche degli asili nido comunali, al problema delle vertenze sindacali che talvolta, nascono anche fra il personale precario, sfruttato e mal pagato delle cooperative (si veda ad esempio, tanto per citare solo un caso, la battaglia sindacale del “Comitato difesa Lavoratori delle Cooperative –RdBCub Privato) negli asili nido a Firenze nel 2004.
L’idea parte dal Nord Europa e, come tutti i progetti che creano profitto per i privati e smantellano lo stato sociale per i lavoratori e le loro famiglie, trovando l’assenso della classe politica italiana, sia di centrodestra che di centrosinistra. L’accattivante termine di “nidofamiglia” cela la realtà di un servizio improvvisato nel quale qualsiasi persona (meglio comunque se “mamma”) può aprire un nido nella propria abitazione. E’ sufficiente che frequenti un corso che va dalle 50 alle 100 ore. Le regole possono subire delle variazioni a seconda delle regioni e dei comuni, mentre è sicuro che chi volesse intraprendere quest’attività potrà contare su cospicui finanziamenti pubblici.
Ecco quindi che “Crea Impresa” pubblicizza in internet: “vuoi avviare anche tu, subito e senza commettere errori, questo business di successo?” e propone la consulenza gratis per trovare “i contributi a fondo perduto e le agevolazioni finanziarie per realizzarlo”. Alla faccia dei diplomi, dei corsi d’aggiornamento, dell’importanza del lavoro d’equipe, dei concorsi richiesti al personale dei nidi pubblici! Ora il sito “Progetto Nidimprendo” strizza l’occhio a qualsiasi “mamma” presente nel territorio nazionale e suggerisce: mamme siate “imprenditrici aprendo un nido in famiglia”.
Anche il servizio di Tv7 andato in onda su Rai Uno l’altra sera punta il dito sulla mancanza di controlli, sulla qualità scadente del servizio, sulla sicurezza dei bambini, su quanto si svolge durante la giornata dei nidi privati e nidi famiglia, a volte composti da un’unica persona, con rapporti numerici educatore-bambini elevatissimi rispetto a quelli imposti per legge nelle strutture pubbliche.
Mentre il ministero delle Pari Opportunità prevede 10 milioni di euro per incentivare i “nidi famiglia”, le varie giunte e amministrazioni locali si preparano al cambiamento, lasciando boccheggiare gli asili nido comunali, promuovendo i Nidi Famiglia e finanziando in modo cospicuo le scuole private, come successo anche a Vicenza.
E’ necessario riportare prepotentemente nell’agenda delle organizzazioni sindacali e politiche il tema della sicurezza, della cura, della salute e dell’istruzione per i lavoratori, i loro figli e le loro famiglie. Dobbiamo tutti esigere che la crisi non sia scaricata sulle nuove generazioni.
Patrizia Cammarata, Maria Teresa Turetta RdB CUB Vicenza